Vertice Biden-Putin, questione Ucraina e contesa del Donbass

Vertice Biden-Putin, questione Ucraina e contesa del Donbass

Il 7 Dicembre 2021 i protagonisti del palcoscenico geopolitico mondiale sono stati il presidente americano Joe Biden e il presidente russo Vladimir Putin, che si sono incontrati virtualmente per parlare principalmente della situazione attuale dell’Ucraina e della regione del Donbass, oltre ad altri argomenti, come rapporti bilaterali e sicurezza regionale.

Per alcuni, la situazione attuale dell’Ucraina e della cosiddetta regione del Donbass potrebbe essere una vera e propria incognita e molto probabilmente vi starete chiedendo come siano coinvolti Stati Uniti e Russia in questa situazione.

Per comprendere a pieno la situazione odierna, è necessario spiegare prima di tutto cosa stia succedendo in Ucraina, infatti lo Stato ucraino è in una guerra civile da 7 anni, separato nella regione orientale del Donbass tra milizie filo-russe e guerriglieri filo-governativi: i filo-russi chiedono l’autonomia della regione del Donbass e, in alcuni casi, l’annessione alla Federazione Russa, mentre i filo-governativi chiedono che l’Ucraina rimanga unita e che entri a far parte dell’Unione Europea.

Su questo fronte si scontrano inoltre due blocchi: gli Stati Uniti d’America e L’Unione Europea, che appoggiano i filo-governativi e il governo di Kiev; la Russia appoggia, invece, i ribelli indipendentisti.

Dopo il vertice tra i capi di Stato delle due grandi potenze coinvolte, il presidente Usa ha avuto successivamente in programma colloqui con i leader dei Paesi membri del Quint, un gruppo decisionale informale costituito da: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Francia, Germania e Italia. Esso opera come un comitato direttivo per varie organizzazioni come la NATO, l’OECD, il G7 e il G20.

Inoltre, la causa, riguardante le rinnovate tensioni della guerra civile, è dovuta al fatto che la Russia, che nel 2014 aveva già invaso e poi annesso la penisola di Crimea, ha intensificato l’assedio dello Stato ucraino, ammassando truppe al confine e portando Kiev a temere l’invasione.

Origini della contesa del Donbass

Prima di parlare della contesa della regione del Donbass tra Ucraina e Russia, dobbiamo descrivere l’origine delle correnti separatiste delle regioni del Donbass e la situazione dell’Ucraina negli anni precedenti allo scoppio della guerra civile.

Origine correnti separatiste

L’industrializzazione della seconda metà del XIX secolo, la costante migrazione dalle parti più disparate dell’impero prima e dell’Unione Sovietica poi, la particolare durezza del terrore staliniano e il carattere industriale della regione, hanno definito la storia particolare del Donbass e la sua naturale diffidenza nei confronti di Mosca prima e di Kiev poi.

Il punto centrale nell’identità regionale è divenuto così non un’autoidentificazione su base etnica o culturale, ma su quella economico-territoriale. L’idea di essere il cuore industriale del paese, sfruttato e mai ricompensato a sufficienza ha favorito, infatti, il costante risentimento verso il centro di potere.

La specificità del Donbass ed i problemi che l’Ucraina indipendente ha dovuto affrontare nella costruzione di un’identità nazionale unificante, restituiscono però solo un quadro parziale se non si prende in considerazione il ruolo centrale giocato dal partito delle regioni (PdR) dell’ex presidente Viktor Janukovič. Proprio il Donbass, infatti, è diventato la roccaforte politica e il cuore ideologico del partito di Janukovič e, ancor prima di conquistare la presidenza nel 2010, Janukovič aveva di fatto costituito uno stato nello stato, con il dominio del partito che si estendeva praticamente su tutte le sfere della vita politica, economica e sociale.

Il passato glorioso come centro industriale dell’impero, la centralità della lingua russa e il richiamo alla federalizzazione del paese divennero tutti elementi del ‘patriottismo regionale’ funzionale al mantenimento del feudo di Janukovič, in contrapposizione a quella che era definita come la ‘banderizzazione dell’Ucraina’.

Precedenti anni di instabilità

Nel 2004, dopo la denuncia di presunti brogli elettorali che avevano portato all’elezione del filo-russo Janukovyč, venne eletto presidente Viktor Yushchenko, affiancato dal primo ministro Yulia Tymoshenko.

Questo blocco durò ben poco, infatti il primo ministro Tymoshenko venne quasi subito sostituito proprio da Janukovyč, che nel 2010 riuscì a farsi eleggere presidente.

Nei suoi anni di mandato Yushchenko riuscì a intavolare delle trattative con l’Unione Europea per la creazione di una zona di libero mercato in una vasta partnership tra Europa e paesi ex-sovietici, come l’Ucraina, la Bielorussia, l’Azerbaijan e la Georgia.

Ma nel 2013 ,nonostante si fosse già decisa come locazione del summit per la firma Vilnius, Janukovyč fece marcia indietro e annunciò il congelamento della firma dell’accordo di associazione con l’UE in favore di un prestito russo per circa 15 miliardi di dollari concesso dal Presidente Putin. Questa decisione da parte del presidente ucraino portò a una rivolta dei cittadini, l’Euromaidan, che vide l’occupazione da parte di centinaia di migliaia di cittadini delle piazze centrali di Kiev, bloccando per mesi la città.

La repressione violenta e sanguinosa da parte della polizia e delle forze governative non fece altro che far inasprire le rivolte, che costrinsero Janukovyč a lasciare il paese e il parlamento a proclamare un governo provvisorio.

Invasione della Crimea e scoppio della secessione nel Donbass

A fine febbraio 2014, con la caduta di Janukovic e la presa del potere da parte dell’opposizione
nazionalista e filo-europea, scoppiavano le prime insurrezioni nella repubblica autonoma di Crimea e in
alcune regioni dell’est (Donetsk), tradizionalmente filorusse. Il parlamento della Crimea indiceva un
referendum per staccarsi da Kiev. Frattanto, Mosca, che non riconosceva il nuovo esecutivo di Kiev e che
manteneva una base navale a Sebastopoli, inviava forze armate e mezzi blindati a presidiare le principali
città della penisola

Il referendum del 18 marzo 2014 sanciva il distacco della Crimea da Kiev; e la Federazione russa procedeva all’incorporazione della Crimea, mentre i paesi occidentali respingevano il referendum come illegittimo e rifiutavano di riconoscere l’annessione della penisola alla Federazione russa. La NATO stabiliva l’interruzione a tempo indeterminato dei lavori del Consiglio NATO-Russia.

Il 7 aprile 2014 si verificava l’assalto alle sedi del governo locale a Donetsk, dove gli assalitori proclamavano una repubblica indipendente e richiedevano un referendum per unirsi alla Russia, cosa che successe anche a Kharkiv e Luhansk. Il premier ucraino Iatseniuk accusava Putin di avere un piano per la distruzione dell’Ucraina, mentre gli Stati Uniti accusavano Mosca di sostenere le milizie che nell’est del paese proclamavano le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Il tentativo delle autorità ucraine di riconquistare il controllo sulle province ribelli produceva un aspro conflitto militare, durante il quale Mosca forniva aiuti di vario genere ai ribelli.

Il 17 aprile 2014 veniva raggiunto a Ginevra un accordo tra Ucraina, Russia, USA e UE per una serie di misure volte ad abbassare la tensione nel teatro ucraino: l’accordo di Ginevra, tuttavia, si rivelava sostanzialmente sterile.

L’11 maggio 2014 si aprivano le urne per i referendum separatisti nelle regioni dell’Ucraina orientale di Donetsk e Lugansk, che segnavano il previsto plebiscito a favore dell’indipendenza sia a Donetsk che a Lugansk. Peraltro la netta vittoria delle istanze filorusse era declinata in maniera diversa, poiché mentre a Donetsk prevaleva un orientamento indipendentista, con l’esplicita richiesta di annessione a Mosca, a Lugansk si preferiva puntare su un federalismo assai accentuato, ma nel quadro della permanenza nell’Ucraina.

Tuttavia i leader di entrambe le regioni separatiste escludevano la partecipazione alle elezioni presidenziali ucraine del 25 maggio, mentre dal canto suo il presidente dell’Ucraina Turcinov escludeva ogni possibilità di dialogo con le forze ribelli e separatiste, definendo i due referendum alla stregua di una farsa.

Elezioni presidenziali ucraine e acutizzazione del conflitto

Il 25 maggio 2014 si svolgevano le previste elezioni presidenziali ucraine, con un’affluenza al voto superiore al 60% a livello nazionale, e con la chiara vittoria del magnate dell’industria dolciaria Petro Poroshenko, che scongiurava il ballottaggio, ottenendo il 56% dei consensi al primo turno.

Il 27 giugno 2014 UE e Ucraina firmavano l’Accordo di associazione, che tuttavia sarebbe entrato in vigore solo all’inizio del 2016.


Le truppe ucraine ai primi di luglio riuscivano a riconquistare le città di Slaviansk e Kramatorsk, continuando a denunciare l’ingresso regolare dalla Russia in Ucraina di armamenti e mercenari a sostegno dei separatisti di Donetsk e Lugansk.


Il Consiglio Europeo del 16 luglio 2014 decideva di estendere le misure restrittive già emesse nei mesi precedenti ad altre persone fisiche russe e ucraine. Dava inoltre mandato alla Commissione e al Servizio europea per l’azione esterna (EEAS) di proporre passi ulteriori da compiere.


Il 17 luglio 2014 nell’Ucraina orientale si verificava l’abbattimento da parte di un missile di un aereo di linea malese in servizio da Amsterdam a Kuala Lumpur, provocando quasi trecento vittime. L’abbattimento avveniva nello spazio aereo ucraino, in una zona teatro di combattimenti fra le truppe di Kiev e i ribelli del Donbass.

Gli Stati Uniti e i Paesi europei, imputando l’abbattimento dell’aereo ai ribelli e, almeno indirettamente, alla Russia, deliberavano una nuova e più consistente tornata di sanzioni anti-russa.

A fine luglio 2014 il Consiglio della UE adottava un pacchetto di ulteriori significative misure restrittive allo scopo di: limitare l’accesso al mercato europeo dei capitali per le istituzioni finanziarie statali della Russia; imporre un embargo sulle armi; stabilire un divieto di esportazione di beni e impedire l’accesso della Russia alle tecnologiche sensibili soprattutto nel campo petrolifero.

Questo pacchetto rafforzava anche la restrizione degli investimenti e del commercio con la Crimea e Sebastopoli e la revisione della cooperazione bilaterale tra Russia e UE.

Il 22 agosto 2014 si sfiorava l’escalation dei combattimenti, quando Kiev denunciava un’invasione russa, a seguito dell’ingresso in territorio ucraino di un convoglio umanitario che recava aiuti verso Lugansk pur non avendo ottenuto il permesso dalle forze di frontiera ucraine. Subito dopo i separatisti lanciavano una controffensiva nella regione di Donetsk, che provocava un sensibile arretramento dell’esercito ucraino.

Il 28 agosto tanto Kiev quanto la NATO affermavano di avere le prove del fatto che la Russia avesse infiltrato proprie truppe regolari nell’Ucraina orientale, che nella stima più prudente (della NATO) raggiungevano il migliaio di unità. Alle smentite provenienti da Mosca, l’Ucraina reagiva con il ribadire la volontà di iniziare il processo di adesione all’Alleanza atlantica.

Al vertice della NATO di Newport il 4 e 5 settembre 2014 i leader dell’Alleanza atlantica condannavano l’intervento militare russo illegittimo ed illegale in Ucraina e chiedevano a Mosca l’immediato ritiro di tutte le truppe in Ucraina e ai confini tra i due paesi. Il Comunicato inoltre richiedeva alla Russia di restituire la penisola di Crimea all’Ucraina e di fermare il flusso di armi, attrezzature e denaro diretto ai ribelli attivi nell’est del paese.

Nel vertice di Newport era inoltre decisa la creazione di una “Very High Readiness Joint Task Force” (VJTF), una unità multinazionale capace di entrare in azione in solo 48 ore, composta da circa 4.000 uomini, con rafforzate capacità di risposta al cosiddetto “Hybrid Warfare” (guerra ibrida), che si sarebbe avvalsa di cinque basi situate in Romania, Polonia e paesi baltici.

In queste basi dovevano essere inoltre stoccati equipaggiamenti e materiali, come carburante, munizioni e mezzi militari.

Il cessate il fuoco di Minsk e l’accordo di Associazione UE-Ucraina

Il 5 settembre era concluso il Protocollo per il cessate il fuoco, fatto a Minsk nell’ambito del Gruppo di contatto per l’Ucraina (formato da rappresentanti russi, ucraini, dei separatisti e l’OSCE). Il 12 settembre 2014 entravano in vigore nuove sanzioni europee e americane mirate contro il settore petrolifero di Mosca.

Il 16 settembre 2014 il Parlamento ucraino approvava, in contemporanea con il Parlamento europeo, l’Accordo di associazione dell’Ucraina alla UE.

Nella stessa giornata, la Rada ucraina approvava una legge sullo statuto speciale delle regioni separatiste, quale parziale attuazione del piano di pace concordato a Minsk insieme al cessate il fuoco: in tal modo le regioni di Donetsk e Lugansk si vedevano garantire per tre anni uno status di autonomia, all’interno del quale era prevista la facoltà di istituire forze di polizia e condurre elezioni a livello locale.

Un’altra legge si spingeva a concedere l’amnistia a tutti i combattenti separatisti, eccezion fatta per i responsabili dell’abbattimento del volo malese del 17 luglio. Il 19 settembre 2014 iniziavano a Minsk nuovi negoziati nell’ambito del Gruppo di contatto sull’Ucraina.

Il 12 ottobre 2014 il presidente russo Putin disponeva il ritiro dalla frontiera ucraina di migliaia di soldati e il 30 ottobre Ucraina, Russia e Unione europea firmavano l’accordo sulla ripresa dei flussi di gas naturale russo verso l’Ucraina.

All’inizio di novembre il clima tornava incandescente, dopo che il 2 novembre nelle regioni controllate dai separatisti erano state indette consultazioni elettorali.

Il presidente Poroshenko minacciava una reazione militare contro i separatisti in caso di loro nuove iniziative armate e sconfessava le elezioni, a suo dire andate ben al di là delle consultazioni locali previste, per la regione del Donbass dagli accordi di Minsk, nell’ambito dell’ordinamento nazionale ucraino.

Poroshenko proponeva altresì alla Rada di revocare lo statuto speciale accordato al Donbass. In breve tempo la tregua faticosamente raggiunta veniva rimessa in discussione, e i focolai di combattimento si moltiplicavano. Il premier ucraino Iatseniuk annunciava che sarebbero cessati i finanziamenti pubblici alla regione del Donbass.

Il 12 novembre il comandante delle forze NATO in Europa Breedlove denunciava nuovi sconfinamenti di mezzi militari e truppe russe in Ucraina, che Mosca recisamente negava. Ciò determinava l’isolamento di Putin, tre giorni dopo, nel corso del Vertice G20 di Brisbane.

Il 13 gennaio 2015 la tenuta della tregua veniva messa duramente alla prova da intensi combattimenti nei pressi dell’aeroporto di Donetsk e dall’uccisione di dieci persone che si trovavano a bordo di un autobus di linea ad un check point ucraino, centrato da un colpo di artiglieria presumibilmente sparato dai filo-russi.

Il 21 gennaio cadeva l’aeroporto di Donetsk, finito nelle mani dei separatisti. Il 24 gennaio in un attacco missilistico alla città di Mariupol sotto controllo governativo restavano uccisi 30 civili, con decine di feriti.

Il 29 gennaio 2015 un Consiglio straordinario dei ministri degli esteri della UE decideva di estendere e ampliare le sanzioni nei confronti della Russia.

L’11-12 febbraio 2015 il vertice di Minsk convocato dal Gruppo di contatto per l’Ucraina raggiungeva un accordo per il cessate il fuoco, dopo una maratona di 15 ore di trattativa. Al vertice in Bielorussia ospitato dal presidente Lukashenko partecipavano la cancelliera tedesca Merkel, il presidente francese Hollande, il presidente russo Putin e il presidente ucraino Poroshenko.

L’ipotesi di intesa prevedeva un immediato cessate il fuoco; la definizione della linea del fronte con i separatisti filo-russi; la creazione di una zona cuscinetto di almeno 50 km con il ritiro di tutte le armi pesanti; meccanismi di controllo per il rispetto dell’intesa (affidati ad osservatori OSCE); scambi di prigionieri; la concessione dell’amnistia per i miliziani; uno status speciale per le regioni separatiste di Donetsk e Luhansk, nell’ambito di una più ampia decentralizzazione; l’indizione di elezioni locali in conformità con la legislazione ucraina, sotto il monitoraggio dell’OSCE; il ripristino del controllo totale sui confini da parte del governo dell’Ucraina in tutta la zona del conflitto.

Il 18 febbraio 2015, dopo ripetute violazioni del cessate il fuoco nei giorni immediatamente precedenti, la città di Debaltsevo cadeva definitivamente nelle mani delle truppe filorusse.

Nei giorni successivi, a Vienna, il Bureau dell’Assemblea OSCE, convocato in seduta straordinaria, respingeva all’unanimità le credenziali di Kovitidi, parlamentare della Crimea inserita nella delegazione della Federazione Russa presso l’Assemblea OSCE.

A fine febbraio 2015 si ripetevano le violazioni del cessate il fuoco, con bombardamenti su villaggi e postazioni di entrambe le parti combattenti, e con reciproche accuse di non rispettare gli accordi presi.

Tra il 4 e il 5 marzo 2015 il premier italiano Renzi si recava in visita ufficiale a Kiev e a Mosca, per incontrare i presidenti Poroshenko e Putin. Renzi ribadiva l’attenzione prioritaria dell’Europa «al rispetto dell’indipendenza e della sovranità dell’Ucraina» e la necessità di «monitorare il cessate il fuoco e le frontiere», cui avrebbe contribuito in particolare la missione OSCE, alla quale bisognava accordare accesso pieno e completo alle zone di monitoraggio.

Il 17 marzo 2015 il Parlamento ucraino adottava una legge sullo statuto speciale del Donbass, presentata da Poroshenko il 16.

Il 18 marzo 2015 la Russia celebrava il primo anniversario dell’annessione della Crimea con una
cerimonia trionfalistica in cui il ministro della difesa russo annunciava che bombardieri con capacità nucleari Tu22M3 sarebbero stati spostati in Crimea per prendere parte ad esercitazioni militari in corso, e che missili balistici Iskander sarebbero stati inviati alla exclave russa di Kaliningrad, al confine con Polonia e Lituania, Stati membri della NATO.

Nella meta aprile del 2015, nonostante entrambe le parti annunciassero di aver concluso il ritiro degli armamenti pesanti dalla linea di confine in adempimento degli accordi di Minsk, gli scontri riprendevano e si intensificavano, dopo un mese di calma relativa, soprattutto nella zona di Mariupol e nei dintorni di Donetsk.

Vertici sulla situazione Ucraina e visite di Putin in Italia

Il 27 aprile 2015 l’Ucraina era il tema principale del Vertice UE di Bruxelles. In particolare, i leader della UE discutevano la politica sanzionatoria nei confronti della Russia, decisa a seguito dell’aggressione contro l’Ucraina. Fra gli altri risultati del vertice figuravano l’impegno dell’Unione europea ad esplorare la possibilità di aprire una nuova missione in Ucraina e l’indicazione forte che la UE ritenesse fuori questione, per il momento, l’assistenza militare all’Ucraina.

Il 4 maggio 2015, dopo un fine settimana segnato da violenze in Ucraina orientale, l’esercito ucraino registrava un aumento di attività separatiste lungo la linea di contatto. La notizia arrivava a due giorni dalla programmata riunione a Minsk tra i delegati ucraini e dei ribelli.

Il 10 maggio 2015, pur non partecipando alla parata sulla Piazza Rossa, Angela Merkel si recava a Mosca per il memoriale del 70° anniversario della vittoria. Dopo aver deposto insieme a Putin una corona di fiori sulla tomba del Milite Ignoto, in un vertice di due ore al Cremlino, discuteva con il presidente russo la situazione in Ucraina, denunciando le continue violazioni della tregua che “non possono essere attribuite al 100% ad una sola parte”.

Il 12 maggio 2015 il segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry incontrava Putin a Sochi per un “franco”
faccia a faccia, l’incontro a più alto livello tra Stati Uniti e Russia dall’inizio della crisi Ucraina. Entrambe le
parti esprimevano il loro sostegno al regime di cessate il fuoco di Minsk. Kerry invitava “chiunque abbia il
controllo su qualcosa” nel sud-est dell’Ucraina ad utilizzare tale influenza per arginare la violenza. Il chiaro
riferimento alla Russia dimostrava che le principali questioni nel dialogo USA-Russia sull’Ucraina
restavano difficili da risolvere

Il 13 maggio 2015, all’esito di una riunione della Commissione NATO-Ucraina in Turchia, i ministri degli esteri dei Paesi NATO e dell’Ucraina riaffermavano di non riconoscere l’annessione russa della Crimea e si dichiaravano preoccupati del peggioramento dei diritti umani nella penisola.

Il 3 giugno 2015 una feroce battaglia infuriava nelle aree vicine a Donetsk. L’esercito ucraino sosteneva che
un migliaio di separatisti filorussi supportati da “decine di carri armati e artiglieria pesante” avevano guidato
l’attacco in quella che era letta come una significativa escalation dei combattimenti, in violazione del cessate
il fuoco.

Le autorità ucraine annunciavano la morte di tre soldati e il ferimento di altri 30. I separatisti
sostenevano di aver semplicemente risposto alle provocazioni ucraine. A quella data, la guerra aveva già
causato più di 6.400 vittime.

Il 6 giugno 2015 in un’intervista al Corriere della Sera, il presidente russo Vladimir Putin tentava di sdrammatizzare i timori occidentali di un’aggressione militare russa, in risposta alle osservazioni fatte dal presidente ucraino Petro Poroshenko, secondo cui il Cremlino si stava preparando ad invadere l’Ucraina. Per quanto riguardava la prospettiva di un attacco russo contro forze della NATO, Putin affermava: “Solo una persona non sana di mente o in sogno può immaginare che la Russia possa un giorno attaccare la NATO”, ed ipotizzava che la voce fosse stata messa in giro dagli
americani per evitare un riavvicinamento tra la Russia e l’Europa.

Il 7-8 giugno 2015 al Vertice del G7 di Elmau erano riaffermati il sostegno occidentale all’Ucraina, la condanna per l’annessione illegale della Crimea e la necessità del mantenimento delle sanzioni a carico di Mosca, collegato alla piena attuazione da parte della Russia degli impegni sottoscritti a Minsk.

Il 10 giugno 2015, nel corso di una visita ufficiale in Italia, Putin visitava l’Expo di Milano ed incontrava il primo ministro Renzi e papa Francesco. Se nel corso dell’incontro con Renzi l’enfasi era posta da Putin sul costo per le aziende italiane delle sanzioni alla Russia, nel corso dell’udienza privata con il Papa, gran parte della quale era dedicata alla crisi in Ucraina, papa Francesco esortava il Presidente Putin a mettere in atto “uno sforzo sincero e grande” per l’attuazione degli accordi di Minsk e per “ricostruire un clima di dialogo.”

Accentuazione del conflitto

Il 14 giugno 2015, rispondendo ai timori di uno scarso impegno americano nei confronti della possibilità di un’aggressione armata russa contro gli alleati, gli Stati Uniti annunciavano di considerare il pre-posizionamento di armi pesanti in vari Stati dell’Europa orientale. Se effettuato, il piano avrebbe segnato la prima volta – dalla fine della Guerra fredda – in cui gli Stati Uniti avrebbero posizionato forze in paesi dell’ex Patto di Varsavia. Il Ministero della Difesa polacco confermava che erano in corso trattative con Washington a proposito dello stazionamento di attrezzature dell’esercito americano in terra polacca.

La notizia incontrava subito la disapprovazione del Cremlino e il 16 giugno 2015 Putin annunciava lo schieramento, entro la fine dell’anno, di più di quaranta nuovi missili balistici intercontinentali assegnati alle forze nucleari. Al di là del valore politico dell’affermazione, la misura sarebbe stato l’effetto di un ricambio già programmato di altri missili, gli R-36M, classificati dalla NATO con il nome in codice “Satana”, la cui sostituzione si rendeva necessaria a causa della loro produzione nella fabbrica Juzhmash, nel cuore dell’Ucraina occidentale.

Il 20 giugno 2015 la Missione di vigilanza speciale dell’OSCE pubblicava un nuovo rapporto sulla situazione in Ucraina orientale. Il rapporto denunciava le continue violazioni del cessate il fuoco di entrambe le parti del conflitto, con la maggior parte degli incidenti originati dalle forze separatiste. La situazione rimaneva tesa soprattutto vicino all’aeroporto di Donetsk e in Shyrokyno, nei pressi di Mariupol. La relazione documentava la presenza di armi pesanti e i movimenti di veicoli blindati in alcuni territori, in violazione delle linee di rispetto definite dal pacchetto Minsk.

Il 22 giugno 2015 il Consiglio dei ministri degli Esteri della UE prorogava ancora le sanzioni alla Russia fino
al 31 gennaio 2016.

Un’altra materia di contrasto è stata che dalla mezzanotte del 24 ottobre la Russia e l’Ucraina hanno chiuso reciprocamente i propri spazi aerei, mentre sul fronte del gas va ricordato l’accordo tra Russia, Ucraina e Unione europea per le forniture invernali, siglato il 25 settembre a Bruxelles.

Assai positivo è stato il rinvio delle elezioni che i separatisti avevano indetto per il 18 ottobre nel
Donbass, e che Kiev considerava illegali. Nonostante ciò la tenuta della tregua è stata nuovamente in pericolo alla fine di ottobre, con intensi scambi di artiglieria e combattimenti a pochi km da Donetsk.

A dicembre è venuto al pettine il nodo della difficile intesa tripartita tra Unione europea, Ucraina e Russia, collegata alle conseguenze dell’accordo di libero scambio UE-Ucraina previsto in vigore dal 1° gennaio 2016: infatti l’intesa è saltata, non ritenendosi Mosca sufficientemente tutelata da quanto offerto dalle controparti a compensazione dell’accordo UE-Ucraina. Pertanto la Russia, dopo aver sospeso l’intesa commerciale in vigore tra Mosca e Kiev, ha annunciato il 21 dicembre l’estensione ai prodotti alimentari ucraini dell’embargo applicato nei confronti dei prodotti europei come ritorsione alle sanzioni contro la Russia. La UE dal canto suo ha formalmente rinnovato per sei mesi proprio quelle sanzioni.

Il nuovo anno ha visto un progressivo aggravamento delle condizioni politiche a Kiev, tanto che alla metà di febbraio il presidente Poroshenko è giunto a chiedere indirettamente le dimissioni del premier Iatseniuk, per poter dar vita ad un governo completamente nuovo.

A seguito di ampi negoziati, il 1 ottobre 2019 Ucraina, Russia, RPD(Repubblica popolare del Donetsk), RPL(Repubblica popolare del Lugansk) e OSCE hanno firmato un accordo per cercare di porre fine al conflitto nel Donbass. Chiamata “formula Steinmeier”, dal nome del suo proponente il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier , l’accordo prevede lo svolgimento di libere elezioni nei territori della RPD e della RPL, osservate e verificate dall’OSCE, e il successivo reinserimento in Ucraina di quei territori a statuto speciale.

In linea con la formula Steinmeier, il 29 ottobre le truppe ucraine e separatiste iniziarono a ritirarsi dalla città di Zolote. Dopo il ritiro, il presidente russo Vladimir Putin, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky , il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel si sono incontrati a Parigi il 9 dicembre 2019 in una ripresa dei colloqui dove le due parti hanno deciso principalmente di lavorare per nuove elezioni nel Donbass e di programmare ulteriori colloqui.

Però la pandemia di COVID-19 ha deteriorato le condizioni di vita nella zona di conflitto, portando a una cessazione del movimento di persone tra le repubbliche popolari e l’Ucraina.

Il 27 luglio 2020 è entrato in vigore il 29° tentativo dall’inizio del conflitto di un cessate il fuoco, ma, nonostante ciò, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2021, l’esercito russo ha spostato grandi quantità di armi e attrezzature dalla Russia occidentale e centrale e fino alla Siberia, nella Crimea occupata e nelle oblast di Voronezh e Rostov in Russia.

Un portavoce del governo russo ha affermato che i movimenti militari russi non rappresentavano una minaccia, ma il funzionario russo Dmitry Kozak ha avvertito che le forze russe potrebbero agire per “difendere” i cittadini russi in Ucraina, e qualsiasi escalation del conflitto nel Donbas significherebbe “l’inizio della fine dell’Ucraina”.

A novembre, il leader del RDN Denis Pushilin ha affermato che le truppe ucraine hanno ripreso il controllo del villaggio di Staromarivka nella zona grigia.

Invece, nel dicembre 2021, le autorità ucraine hanno affermato che la Russia stava inviando cecchini e carri armati nella regione.

Vertice Biden-Putin

Successivamente c’è stato il vertice tra Biden e Putin ,di cui abbiamo già parlato, tenuto principalmente per discutere della situazione di possibile invasione da parte della Russia dell’Ucraina intorno a gennaio, visto il grande spostamento di truppe lungo il confine russo-ucraino.

Gli Stati Uniti hanno già avvertito che, in caso di invasione russa, sono pronti a colpire Mosca con sanzioni economiche durissime, che potrebbero interessare le banche e la capacità di convertire i rubli in dollari.

Back To Top