In tre anni i disturbi alimentari raddoppiati soprattutto tra i giovani

In tre anni i disturbi alimentari sono più che raddoppiati sopratutto tra i giovani: qui riportata la statistica

I Dati

Nel 2019 erano i casi di disturbi alimentari (anoressia, bulimia e binge eating) intercettati erano 680.569, nel 2020 erano balzati a 879.560, nel 2021 a 1.230.468, e nel 2022 a 1.450.567. Nel complesso le persone trattate oggi per queste patologie sono oltre 3 milioni; nel 2000 erano circa 300 mila. Anche i dati Rencam regionali (Registro nominativo cause di morte ) sono purtroppo molto alti, il dato Rencam del 2022 rileva complessivamente 3.158 decessi con diagnosi correlate ai Disturbi della Alimentazione e della nutrizione, con una variabilità più alta nelle regioni dove sono scarse o addirittura assenti le strutture di cura e con una età media di 35 anni, che significa che una alta percentuale di questo numero ha una età inferiore a 25 anni.

La situazione è particolarmente critica per la fascia di età compresa tra i 12 e i 18 anni, poiché spesso i pazienti sono brillanti a scuola, funzionano bene sul piano sociale e apparentemente sembrano perfetti. “Il disagio adolescenziale è in crescita da decenni, e di depressione fra i ragazzi si parla da molto tempo, ma oggi notiamo nuove forme di depressione, dove i problemi alimentari sono molto più prevalenti. I ragazzi e le ragazze mi parlano molto di più di morte, presentano maggiore tendenza all’autodistruzione, autolesionismo, alterazione dell’umore”. Le persone che vengono da me in prima visita mi dicono per la maggior parte che tutto è iniziato fra il 2020 e il 2021, ma di queste patologie non ci si ammala istantaneamente. Gli effetti del 2020 li stiamo vedendo dopo, come un’onda lunga. Potremmo valutare quanto davvero ha pesato il covid su questi ragazzi già fragili probabilmente a partire dal 2024.”

Il perché ci si ammali di disturbi alimentari non è così chiaro. C’è sempre un evento “traumatico” che scatena il problema, ma trattandosi di patologie multifattoriali, devono verificarsi contemporaneamente vari fattori che fanno sì che la reazione della persona vada in quella direzione. Un disturbo di personalità come un perfezionismo estremo, tipico di questi pazienti, la presenza di una vulnerabilità genetica (sono in corso grandi studi nazionali su questo aspetto). Pesano non poco i fattori culturali, come l’enorme pressione su alimentazione e corpo propria dei nostri tempi, e i problemi nel contesto relazionale in cui queste persone sono immerse.

L’ultimo censimento del Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto Superiore di Sanità, realizzata con il supporto del Ministero della Salute-CCM, ha contato al 28 febbraio 2023 126 strutture sparse su tutto il territorio nazionale, di cui 112 pubbliche(appartenenti al Servizio sanitario nazionale – Ssn) e 14 appartenenti al settore del privato accreditato. Il maggior numero dei centri (63 su 126) si trova nelle regioni del Nord, 23 sono nelle regioni del centro (di cui 8 nel Lazio e 6 in Umbria), mentre 40 sono distribuiti tra il Sud e le Isole (12 in Campania e 7 in Sicilia). Ma soprattutto, solo il 48% dei centri rispondenti ha dichiarato di prendere in carico i minori fino a 14 anni.

La metà delle regioni non ha dunque una rete completa di assistenza, che dovrebbe prevedere quattro livelli: ambulatori specializzati nei disturbi alimentire, che assorbono il 60% della richiesta, servizi semiresidenziali (centri diurni dove le persone possono fare i propri pasti), servizi residenziali extraospedalieri h24 che dovrebbero garantire una presa in carico per persona dai 3 ai 5 mesi, e infine i servizi ospedalieri che prevedono il ricovero salvavita per chi rifiuta le cure, e la nutrizione artificiale.
“Alcune regioni del sud sono in grossa difficoltà ma anche regioni grandi come il Lazio, il quale ha pochi centri ambulatoriali e strutture residenziali piccole, con liste attesa lunghissime” continua Dalla Ragione. “Il trattamento per il disturbo alimentare se intercettato precocemente senza altre patologie psichiatriche prevede come minimo 2 anni di terapia, e deve essere affiancato da un percorso psicologico che coinvolga anche la famiglia.”

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