Cesare Beccaria: la questione della pena di morte

Cesare Beccaria: la questione della pena di morte

Cesare Beccaria parla della questione della pena di morte nella sua opera “Dei delitti e delle pene” e nei suoi brevi e nervosi paragrafi, imposta su nuove basi il dibattito sul diritto di punire e fonda le concezioni liberali e garantiste della modernità penale. 

Chi era Cesare Beccaria?

Cesare Beccaria nasce a Milano nel 1738, da una famiglia nobile, studiò a Parma nel collegio dei gesuiti e frequentò l’università a Pavia, laureandosi in legge. Collaborando con il gruppo dell’Accademia dei Pugni e della rivista “il caffè”, compone il trattato “Dei delitti e delle pene”.

Di cosa parla il “Dei delitti e delle pene”?

Nei “Dei delitti e delle pene” Beccaria affronta il problema della legittimità dei governi di punire coloro che in qualsiasi modo contravvengono a quanto stabilito dalle leggi, in quanto, come affermavano gli illuministi, tra il cittadino e lo Stato si stabiliva un “patto sociale” in base al quale ogni cittadino rinunciava a una piccola parte della propria libertà per il raggiungimento della maggior felicità possibile, garantita a ciascuno dall’azione dello Stato.

Cosa pensa Beccaria della pena di morte?

Beccaria sostenne l’inutilità della pena di morte in quanto non era abbastanza efficace per scoraggiare le persone da compiere delitti. Lo scopo di una pena “infatti” era quello di evitare i reati; in quanto la punizione sarebbe servita da esempio. La pena di morte era ammissibile, secondo Beccaria, solo quando il condannato, poteva ancora essere un pericolo per la società e doveva essere lunga e dolorosa come una tortura. La prospettiva dei lavori forzati a vita poteva spaventare molto di più un condannato che una “semplice” morte in quanto essa è immediata.

L’esecuzione della pena capitale diventa uno spettacolo per la maggior parte del popolo oppure un oggetto di compassione per altri, ma non il terrore che avrebbe dovuto suscitare, mentre la prospettiva di poter perdere per sempre la propria libertà faceva più paura. Riguardo alle torture l’uomo poteva solo resistere a dolori passeggeri, ma oltre un certo limite era anche disposto a confessare cose non vere pur di non soffrire più e di non perdere per sempre la propria libertà.

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